Ddl Pillon, una proposta di legge farraginosa e ideologica

Questione Giustizia   5 ottobre 2018   – di Assunta Confente,  Avvocata in Torino

Note a margine del ddl Pillon: una riforma altamente ideologica, schierata a difesa del genitore più forte economicamente e quindi iniqua, che impone una visione di parte e trascura la realtà sociale in cui inciderà la normativa, ignorando l’interesse dei minori, divisi per legge in due, come se la loro identità e i loro bisogni non esistessero o fossero comunque per tutti uguali

1. La proposta di legge n. 735 Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità che porta la firma del senatore leghista Simone Pillon è diretta a scardinare l’impianto legislativo attuale che delega al giudice la ricerca del giusto equilibrio degli interessi di tutti i membri della famiglia in crisi, nel rispetto del preminente interesse morale e materiale dei figli minori di età.

Una proposta di legge, farraginosa e ideologica, che modifica radicalmente la prospettiva sino ad oggi adottata a vantaggio di una visione stereotipata delle soluzioni da scegliere nei confronti dei bambini come se fossero beni da dividere in occasione della separazione unitamente al conto corrente, ai titoli ed ai mobili di casa; che non tiene in considerazione la realtà in cui i minori hanno vissuto, le peculiarità di ogni famiglia, la situazione economica dei genitori.

Se fino alla riforma del 2006 si poteva parlare di uno squilibrio legislativo che emarginava il giusto ruolo dei padri nella cura ed educazione dei figli, con questa proposta di legge la situazione viene ribaltata: si impongono soluzioni obbligatorie che non sono aderenti alla nostra realtà sociale, che favoriscono il genitore più forte economicamente, che inaspriscono e allargano il conflitto all’interno della famiglia coinvolgendo i nonni e i figli maggiorenni, che allungano i tempi delle decisioni, che non tutelano i minori e le donne vittime di violenza.

2. Non c’è una sola tra le molte novità proposte che sia condivisibile.

I punti indicati come qualificanti sono in realtà ritenuti allarmanti da tutti gli operatori giuridici che si occupano di diritto di famiglia, che non siano stabilmente e funzionalmente collegati con qualche associazione di padri separati, per l’esito che potrebbero avere nella vita dei soggetti più deboli.

Il principio dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole che sino ad oggi è stato il cardine, libero da vincoli, di ogni decisione da parte dell’Autorità giudiziaria, con la proposta di legge del senatore Pillon è condizionato, a richiesta di uno dei due genitori, al «diritto del minore di trascorrere tempi paritetici o equipollenti» con ciascuno dei genitori, indipendentemente dal vissuto del minore.

Si stabilisce, quindi, in concreto, che per interesse del minore si deve intendere sempre e comunque che il figlio, indipendentemente dall’età e dalla relazione che ha con i genitori, debba obbligatoriamente trascorrere metà del suo tempo con un genitore e metà con l’altro, sottraendo al giudicante quella discrezionalità che gli permetteva di esaminare ogni fattispecie e decidere sulla base dei dati di realtà offerti dalle parti.

Solo nel caso in cui il minore abbia subito violenza, abusi sessuali, trascuratezza, ovvero il genitore non sia disponibile o non abbia spazi adeguati, sarà possibile per il giudice derogare alla suddivisione dei tempi paritari. Un elenco tassativo che omette situazioni di pregiudizio quali ad esempio i maltrattamenti, le malattie psichiatriche, l’uso di sostanze stupefacenti, l’uso di alcol, le precedenti condotte abbandoniche.

Di fatto, una diversa previsione di tempi è quindi ritenuta possibile solo in alcuni casi gravissimi e circoscritti, che impongono una limitazione ovvero la decadenza dalla responsabilità genitoriale, oppure quando uno dei due genitori non sia disponibile o non possa accogliere il figlio in una casa.

La rigidità della norma impedisce di valutare le diverse situazioni in base all’età del minore, alla relazione che il figlio ha con i genitori, o all’apporto che ciascun genitore ha avuto nella cura del figlio quando la famiglia era unita, se mai è stata unita.

Non occorre essere specialisti in psicologia per sapere che un bimbo molto piccolo ha maggiormente bisogno della madre di uno grandicello, ed è dato comune, confermato purtroppo dalle statistiche, che ancora oggi la maggior parte dei padri italiani delegano totalmente alla madre le funzioni di cura del minore.

Le statistiche dicono che i padri italiani dedicano ai figli circa 38 minuti al giorno, normalmente per attività ludiche o di aiuto allo studio, piazzandosi all’ultimo posto in Europa, mentre le madri destinano quasi cinque ore ed il loro tempo è dedicato a tutti gli aspetti della vita del figlio. Sempre le statistiche ci dicono che solo il 6,9 % dei padri italiani accede ai congedi parentali contro il 69% dei padri svedesi. L’organizzazione della vita quotidiana della donna si rivoluziona con la nascita di un figlio, quella dei padri di norma no.

A dispetto, quindi, di una nuova concezione della paternità molto pubblicizzata dai media e dell’aumento del lavoro della donna (seppure in termini numerici molto inferiori agli esempi del resto d’Europa), la partecipazione dei padri alle cure e all’educazione dei figli, nella stragrande maggioranza dei casi, non si è molto modificata rispetto a 20 anni fa.

Orbene, questi semplici dati impongono qualche riflessione.

Nella divisione del tempo che ogni bambino figlio di genitori separati dovrà trascorrere con ciascun genitore si devono tenere in considerazione molti dati e aspetti della sua vita.

Così come un padre che ha sempre contribuito alla cura del figlio non dovrebbe mai essere relegato a un tempo marginale della sua vita, non è neppure immaginabile pensare di dividere il tempo di un bambino al 50% tra i due genitori se uno dei due non l’ha mai accudito e magari non ha neppure il tempo di farlo quotidianamente, con la conseguenza che il bambino verrebbe affidato ad un terzo (baby-sitter, nonni o nuovo/a compagno/a).

3. A questa divisione paritetica del tempo consegue, ovviamente, il mantenimento diretto del minore da parte di ciascun genitore, con suddivisione più o meno paritaria delle spese straordinarie.

Purtroppo appare più che mai evidente che questa proposta di divisione al 50% del tempo è funzionale alla soppressione dell’assegno di mantenimento per il figlio e dell’assegnazione della casa coniugale al genitore collocatario, così come richiesto da anni dalle associazioni dei padri separati.

L’esperienza insegna che troppe volte i bambini sono oggetto di conflitto proprio per questioni economiche, perché uno dei due genitori non intende partecipare adeguatamente al loro mantenimento e spesso anzi si sottrae ai suoi doveri con espedienti vari. Sottrarsi al mantenimento dei figli o del coniuge più debole, peraltro, non sarà più considerato reato, perché la proposta del senatore Pillon prevede l’abrogazione dell’art. 570-bis cod. pen. che punisce la violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio.

Il meccanismo volto a disciplinare il mantenimento diretto da parte dei genitori ideato nella proposta di legge è alquanto confuso, di difficilissima attuazione e soprattutto, in caso di inadempimento, impossibile da far applicare.

Le parti dovranno offrire al giudice il loro piano genitoriale nel quale indicare tra l’altro i luoghi abitualmente frequentati dai figli, scuola, attività extrascolastiche, frequentazioni parentali e amicali, vacanze, nonché la misura e la modalità con cui ciascun genitore deve provvedere al loro mantenimento. Il giudice conseguentemente dovrà attribuire a carico di ciascun genitore specifici capitoli di spesa «sulla base del costo medio dei beni e servizi per i figli, individuato su base locale in ragione del costo medio della vita come calcolato dall’Istat».

Ovviamente, le spese per l’abitazione non sono più comprese tra quelle da prendere in considerazione dato che i figli starebbero con mamma e papà al 50%.

Un eventuale assegno è previsto straordinariamente in casi limitatissimi e per un tempo determinato e comunque il giudice dovrebbe indicare «quali iniziative devono essere intraprese dalle parti per giungere al mantenimento diretto della prole, indicando infine i termini entro i quali la corresponsione di assegno periodico residuale verrà a cessare».

È incomprensibile ed iniquo il riferimento al costo medio della vita come calcolato dall’Istat, dato che ci sono persone che hanno un reddito al di sotto della media e altre molto al di sopra. C’è il disoccupato che vive di espedienti e il manager o il libero professionista che ha un reddito annuale di qualche centinaia di migliaia di euro.

Tutto viene appiattito come se non ci fosse alcuna differenza tra famiglia e famiglia.

Non si comprende che cosa accade se uno dei due genitori non provvede al pagamento dei propri capitoli di spesa, o provveda parzialmente, o provveda acquistando prodotti di scarsissima qualità che si deteriorano in tempi non congrui con conseguente necessità di ulteriori spese.

Non solo non sarà più possibile denunciare penalmente la parte inadempiente, ma neppure si potrà chiedere il pagamento diretto da parte del datore di lavoro ex art. 316-biscod. civ., non essendo determinata la somma mensile da pagare.

La procedura per il recupero del credito sarà più complessa, perché in assenza di un importo determinato nel titolo occorrerà avvalersi della procedura di ingiunzione per ottenere un titolo con una somma certa, e solo successivamente procedere con la notifica del precetto e il pignoramento.

4. Una delle parti più inquietanti della proposta di legge riguarda però i casi in cui un bambino rifiuti un genitore, fenomeno individuato e denominato da alcuni esperti come “alienazione genitoriale”, ma contestato da altri.

A prescindere dalla discussione accademica e giuridica sull’esistenza o meno dell’alienazione genitoriale, occorre riconoscere che vi sono situazioni in cui i figli rifiutano la presenza di un genitore.

Tema delicatissimo, dalle mille sfaccettature.

Un figlio può, infatti, rifiutare una figura genitoriale per molti motivi: perché ha subito pesanti condizionamenti psicologici da uno dei due genitori, oppure perché ha vissuti di disagio, di violenza o di maltrattamento, o, ancora, perché quel genitore non è capace di relazionarsi adeguatamente con la prole, oppure perché nel conflitto troppo acceso semplicemente si schiera con uno dei genitori.

Sono casi delicatissimi che devono essere trattati con l’aiuto di diverse professionalità: psicologi, psichiatri, educatori, operatori del servizio sociale.

Deve essere infatti, in primo luogo, compreso il motivo della resistenza di un figlio rispetto ad un genitore, perché solo dopo un adeguato accertamento si potranno mettere in atto gli aiuti necessari nei confronti del figlio e dei genitori per il superamento delle criticità individuate.

È chiaro che l’approccio sarà diverso nei casi in cui si sono verificati condizionamenti psicologici rispetto a quelli in cui si è in presenza di un uomo violento e vendicativo. Le cronache di violenze familiari avrebbero dovuto essere di monito al legislatore: invece qui viene proposta una soluzione standardizzata in cui al bambino, più o meno grandicello, che rifiuta un genitore, senza neppure accertarne il motivo, può essere cambiata la residenza e affidato al genitore rifiutato o a una struttura specializzata.

Questa soluzione può avere un senso in alcuni marginalissimi casi, ma certo non può essere individuata come la soluzione modello da adottare sempre e a prescindere da accertamenti rigorosi sulle cause del disagio e sulle soluzioni nel rispetto dei bisogni del minore, e mi riferisco a tutte quelle situazioni, non poche, in cui vengono accertati maltrattamenti, violenze o abusi e che terminano, o dovrebbero terminare, con una interruzione definitiva degli incontri con il genitore “inadeguato”.

5. La proposta di legge tende, inoltre, ad ampliare i conflitti orizzontalmente introducendo nel giudizio altri attori quali i nonni e i figli maggiorenni.

I nonni, infatti, saranno legittimati ad intervenire volontariamente nelle procedure di affidamento promosse dai genitori per far valere le loro istanze. Questa novità è quanto mai inopportuna per più ordini di motivi.

La loro presenza processuale non può che amplificare il conflitto, rendere più complessa e lenta la procedura che, invece, necessita di celerità.

Le istanze dei nonni (che sono quattro), tra l’altro, potrebbero essere diverse e contrapposte tra loro, il che determinerebbe il caos.

I figli maggiorenni non indipendenti economicamente dovranno adire l’Autorità giudiziaria per ottenere un assegno periodico a carico di entrambi i genitori. Quindi, sino a 17 anni e undici mesi i ragazzi saranno obbligati a spostarsi, facendo attenzione ai tempi di permanenza, tra le case dei due genitori, i quali provvederanno direttamente al loro mantenimento per capitoli di spesa: uno dei genitori si farà carico dei vestiti, l’altro delle scarpe, uno dei libri, l’altro dello sport, uno del cellulare, l’altro dell’abbonamento autobus e il figlio quando sarà da un genitore potrà andare al cinema e a teatro, dall’altro no, oppure potrà trascorrere i fine settimana in montagna e al mare e con l’altro no, con uno potrà permettersi vacanze costose, con l’altro sarà costretto a restare in città. A 18 anni il/la ragazzo/a, finalmente potrà decidere la sua prevalente collocazione, ma pur non avendo la disponibilità economica per rivolgersi ad un avvocato (avrà diritto al patrocinio a spese dello stato?), dovrà rivolgersi al giudice per chiedere un assegno a entrambi i genitori (assegno che prima era precluso) con il quale verosimilmente dovrà pagarsi gli studi e tutto il resto. L’assegno diventa una obbligazione solidale dei due genitori che dovranno contribuire nella medesima misura anche se uno dei due è disoccupato e l’altro milionario, anche se il figlio abita stabilmente e prevalentemente con uno e non con l’altro.

L’assegno non è più previsto sino all’indipendenza economica, ma solo sino al venticinquesimo anno di età, dopodiché cessa qualsiasi obbligo di mantenimento da parte dei genitori, e quindi i figli di genitori separati, per legge, non avranno il diritto di accedere a professioni che richiedono tempi di studio e di tirocinio prolungati quali ad esempio la magistratura, l’avvocatura, il notariato.

Anche l’istituto dell’assegnazione della casa familiare viene radicalmente modificato. In caso di proprietà esclusiva di un genitore o di comproprietà tra le parti il giudice potrà stabilire che i figli possano mantenere la residenza con l’altro genitore nella casa familiare, ma questi dovrà versare un canone di locazione computato in base ai prezzi di mercato.

E comunque questi non potrà continuare ad abitare nella casa familiare di proprietà dell’altro genitore nel caso in cui conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.

L’interesse del minore a continuare a vivere nella stessa casa passa in assoluto secondo piano, in un’ottica che vede prevalere gli interessi economici di una parte.

6. Dal punto di vista processuale questa proposta di legge adotta soluzioni che allungheranno i tempi e aumenteranno i costi.

Introduce la mediazione obbligatoria che viene articolatamente disciplinata nei primi articoli.

La mediazione diventa condizione di procedibilità e quindi le parti, prima di promuovere un giudizio, devono necessariamente rivolgersi ad un mediatore familiare, con allungamento dei tempi.

Alla mediazione le parti devono essere obbligatoriamente essere assistite dai rispettivi legali a pena di nullità della procedura e dell’accordo stesso. Ciò significa che i costi legali, in caso di fallimento della mediazione, aumenteranno, e non di poco.

Oltre al mediatore dovranno essere pagati anche gli avvocati e quindi ogni procedura costerà al cittadino qualche migliaio di euro in più.

Anche in questo caso non è dato comprendere se le persone non abbienti possano chiedere di essere ammesse al patrocinio a spese dello Stato e in questo caso da chi sarà pagato e con quali modalità il mediatore.

È peraltro noto che la mediazione familiare, utile in molti casi, deve essere voluta dalle parti, e non imposta. Una mediazione obbligatoria non sortisce alcun effetto nelle coppie molto conflittuali che necessitano invece di provvedimenti celeri, da parte dell’Autorità giudiziaria, che disciplinino le relazioni tra genitori e figli e i doveri di mantenimento.

Quindi costi in più e tempi maggiori per tutte le coppie conflittuali.

In Italia, fortunatamente, la stragrande maggioranza delle coppie riesce a raggiungere un accordo e le statistiche confermano infatti che più dell’82% delle coppie si separa consensualmente. Nel 2014 è stata introdotta anche la legge sulla negoziazione assistita che favorisce questo trend, affidando agli avvocati il compito di aiutare i coniugi a trovare soluzioni per la loro vita futura.

La strada per sostenere i genitori a superare la conflittualità è quella di specializzare sempre più l’avvocatura che si occupa di diritto di famiglia, favorendo soluzioni alternative al giudizio che deve restare per i soli casi in cui è impossibile raggiungere un accordo, e dove però l’autorità giudiziaria deve avere la possibilità (e il dovere) di intervenire in tempi molto rapidi a tutela dei minori che si trovano schiacciati nel conflitto genitoriale.

Anche la proposta di autorizzare il reclamo immediato contro i provvedimenti del giudice istruttore di fatto inciderà sui tempi di giustizia, rendendo la procedura più lenta e faticosa, con un continuo passaggio fra un grado e l’altro, prima del provvedimento definitivo comunque impugnabile.

Neppure condivisibile la proposta di autorizzare l’assunzione dei mezzi di prova avanti al presidente prima dell’emanazione dei provvedimenti provvisori.

Se infatti può essere utile in talune specifiche circostanze procedere con una Ctu psicologica sulla relazione genitori e figli e sulla capacità genitoriale, non è dato comprendere che senso abbia anticipare tutta l’istruttoria prima dei provvedimenti presidenziali che perderebbero la loro funzione di dirimere nell’immediatezza e provvisoriamente la controversia tra i due genitori in attesa dell’accertamento istruttorio.

Queste sono alcune delle numerose criticità della proposta del senatore Pillon che si presenta come altamente ideologica, schierata a difesa del genitore più forte economicamente e quindi iniqua, che impone una visione di parte e trascura la realtà sociale in cui inciderà la normativa, che ignora l’interesse dei minori di età divisi per legge in due come se la loro identità e i loro bisogni non esistessero o fossero comunque per tutti uguali, che aumenta i costi e allunga i tempi di giustizia.